In occasione del 31° anniversario dello storico incontro interreligioso di Assisi promosso da San Giovanni Paolo II
Vi proponiamo la lettura di un estratto dal libro: Francesco e noi, a cura di Francesco Antonioli, Ed. PIEMME, che raccoglie la visione di Papa Francesco da parte di personalità di rilievo, di diverse estrazioni e provenienza.
“Salam, Santità, la aspetto in moschea”
di Yahya Pallavicini
P. 111 – 116
Yahya Pallavicini è un cittadino italiano nato musulmano, nel 1965, da madre giapponese e padre italiano. È imam della Moschea al-Wahid di Milano in via Meda. Dal 2006 è consigliere del ministero dell’Interno nella Consulta per l’islam italiano e presidente del Consiglio ISESCO per l’educazione e la cultura in Occidente. È presidente della COREIS, la Comunità Religiosa Islamica Italiana. È una delle voci più autorevoli e aperte al dialogo del mondo islamico in Italia.
Santità, il giubileo della misericordia si è concluso da pochi mesi. Ci siamo detti che sarebbe un momento molto significativo ospitare la sua visita in moschea a Roma in questo spirito e noi lo speriamo ardentemente. Dopo mesi di preparazione con monsignor Rino Fisichella abbiamo avuto anche l’onore di un’udienza riservata il 20 gennaio 2016 in Vaticano nella quale consegnarle formalmente la lettera d’invito per la prima storica visita di un pontefice e del vescovo di Roma alla Grande Moschea di Roma, sede del Centro islamico culturale d’Italia, unico ente morale islamico a oggi riconosciuto dallo stato italiano. Siamo venuti in delegazione, il presidente del consiglio di amministrazione, ambasciatore Rayed Khalid Krimly del Regno dell’Arabia Saudita, i due vice presidenti, gli ambasciatori del Regno del Marocco Hassan Abouyoub e della Repubblica Araba d’Egitto Amr Mostafa Kamal Helmy, il segretario generale del centro, Abdellah Redouane, e io stesso, imam Yahya Pallavicini, nella funzione di responsabile per il dialogo interreligioso della Grande Moschea di Roma.
In questa veste ci eravamo già visti in sinagoga con il rabbino Riccardo Di Segni e i presidenti delle comunità ebraiche italiane e dí Roma, Renzo Gattegna e Ruth Dureghello. Ancor prima ci siamo salutati per la celebrazione dell’anniversario del Pontificio istituto di studi arabi e islamici con il rettore don Valentino Cottini e sua eminenza il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Sempre con lei, papa Francesco, e il cardinale Tauran ci siamo incontrati nuovamente a conclusione del terzo forum cattolico musulmano promosso dalla casa reale Hashemita di Giordania nel 2014 e nel 2013 dopo il seminario del Comitato islamico cristiano guidato dal fondatore dell’IIFD (International Islamic Forum for Dialogue) e promosso da personalità del Regno dell’Arabia Saudita. Mi ha persino ricevuto nuovamente sempre in Vaticano come membro della delegazione interreligiosa per la partita per la pace, con l’AisEs (Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale) e con la prestigiosa Comunità di Sant’Egidio. Ma di tutti questi incontri altri due sono forse ancora più rilevanti: quello a Gerusalemme con il patriarca Bartolomeo nel maggio 2014 e in piazza San Pietro quando abbiamo pregato per scongiurare la guerra in Medio Oriente nel settembre del 2013.
Ecco: le preghiere funzionano! E il sacro dialogo tra uomini di Dio c’è! Poi ci sono anche gli incontri internazionali, gli scambi istituzionali, le relazioni diplomatiche, gli approfondimenti tematici o di un settore specifico e critico della società ma, soprattutto, ci deve essere il dialogo tra uomini di Dio, per Dio, servitori e interpreti del Suo Mistero e della Sua Misericordia e della conoscenza della Sua infinita e onnipresente Verità!
Dio! Dio ci guardi dai professionisti e dai ciarlatani del dialogo che lavorano per creare suggestioni collettive ricercando un ideale di felicità o istigando alla paura della violenza, senza rendersi conto che il buonismo, talvolta portato all’estremo del sincretismo, produce una confusione sterile, inutile, anzi dannosa perché diventa la parodia del dialogo, senza Logos e senza rispettosa e profonda compartecipazione. Ci sarà pure una differenza tra dialogo religioso e dialogo profano! Evitiamo di dialogare politicamente o solo civilmente sulle religioni, dialoghiamo religiosamente tra credenti per crescere nel rispetto, nella collaborazione fraterna e nella fede!
Papa Francesco, perché è così difficile riconoscere che l’islam sia una religione? Una religione che, con l’ebraismo e il cristianesimo, appartiene al monoteismo ispirato dal profeta Abramo? Perché i credenti musulmani a Roma, in Italia, ín Europa, devono essere considerati come credenti in un Dio minore e non possono essere rispettati come diversamente credenti nello stesso Dio unico di tutti? Perché da decenni si vuole continuare a confondere l’Oriente con l’orientalismo, il musulmano con l’arabo negando l’arabo cristiano, il musulmano con lo straniero, il musulmano con l’immigrato o il clandestino o il criminale o il terrorista? E anche se una minoranza fosse tutto questo, perché si vuole misconoscere la dignità religiosa dei musulmani orientali e occidentali che vivono in Italia in modo onesto e che pregano Dio con fede sincera? C’è forse un modello, uno standard di compatibilità o di civiltà che dà legittimità e dignità a un credente?
Santità, comincio a credere che le battaglie giuridiche e le battaglie culturali sull’islam siano solo illusioni di un teatrino che alcuni invisibili irresponsabili e ipocriti vogliono promuovere per sottoporre i credenti a un lungo periodo di travaglio e che, in realtà, non ci sia alcuna onestà politica per salvaguardare la libertà e la dignità religiosa né in Occidente e neppure in Oriente. Anzi c’è una gara d’immobilismo basata su pretesti di reciprocità. Forse si teme che se il cittadino dovesse anteporre la sua fede in Dio al suo dovere per la patria, il giogo di potere che condiziona il popolo al benessere sociale entrerebbe in crisi e ci sarebbe la crisi della modernità, la crisi di quel pensiero liberale che ha emancipato l’uomo dalla priorità della sensibilità spirituale.
Certo, gli storici e i filosofi diranno che i regni e i califfati erano corrotti e che, grazie alle rivoluzioni e al progresso, la centralità e la libertà dell’uomo hanno finalmente prodotto l’evoluzione della società, il benessere diffuso e le opportunità di scegliere come gestire il tempo tra sviluppo del lavoro e intrattenimento sociale. Su queste basi si è creato un nuovo «ecosistema” culturale e politico che ha soppiantato la visione tradizionale del cosmo e della natura i cui riferimenti simbolici hanno sostenuto per secoli la funzione e il destino dell’uomo, della donna e del mondo.
Attenzione, Santità, perché alcuni diranno che la Chiesa cattolica ha svolto un ruolo determinante nella genesi di questa sovrastruttura social-cultural-politica, per esempio, idolatrando l’umanesimo e la psicologia individuale. Tale eccessiva concentrazione sull’uomo rischia di porre gli esseri al servizio di un superpotere economico-industriale perdendo, di fatto, la reale centralità dell’uomo stesso quale strumento di conoscenza di una ricerca metafisica e universale. I danni di questo artificio diventano sempre più evidenti nel livello di decadenza morale e culturale e nella progressiva perdita di sensibilità spirituale e di coscienza di Dio mentre i suoi richiami, Santità, al senso della vita e alle speculazioni della finanza e della politica vengono dirottati contro il terrorismo islamista per “non turbare il sistema” già in grave crisi.
Papa Francesco, purtroppo c’è anche quest’altra piaga, quella di una minoranza di qualche migliaia di persone che abusano ideologicamente di qualche elemento dottrinale per pretendere una legittimazione del loro “sistema alternativo”, un sistema pseudoteocratico fatto di bigottismi, formalismi e giustizialismi sommari, una rivoluzione violenta che vuole “salvare il mondo” creando un nuovo modello esclusivo di civiltà, purificata o puritana. Peccato che la cura della rivoluzione islamista rispetto ai mali della società secolarizzata, globalizzata e “impura” è quanto di peggio possiamo augurare alla nostra e alle future generazioni.
Preghi per noi tutti, Santità, che Dio l’Altissimo ci liberi presto da tutte queste suggestioni che ci distraggono dal tempo breve e prezioso della vita come occasione di trasformazione e sviluppo interiore. San Giovanni Paolo II pregava, pregava a lungo la Vergine Maria, presente con grande devozione anche nella Rivelazione del Sacro Corano. Anzi, Maria nel Corano viene descritta pregare e rivolgersi a Dio con l’attributo di più Misericordioso dei Misericordiosi.
Anche per questo speriamo ancora in una sua visita in moschea sull’onda lunga del giubileo della misericordia. È l’occasione di poter pregare come papa Benedetto ha fatto a Istanbul e in precedenza a Damasco, prima che la guerra di adesso rendesse il Medio Oriente il luogo di un conflitto fratricida e dí una guerriglia fin troppo senza senso perché non prevalgano gli interessi di sciacalli e criminali. Lei, tra le disgrazie che ha affrontato con fede e coraggio, ha spesso fatto riferimento a quella dei migranti, prevalentemente africani, che lasciano una terra senza speranza per la speranza di una nuova terra e di una vita nuova. Ma non si dice nella dottrina cristiana che è il Cristo la vita nuova?
Non dovremmo quindi riaccendere nel popolo la vera fede, non in una umanità migliore, ma in un uomo nuovo che sappia riconoscere Dio nei Suoi segni e non adorare i segni o la propria religione dimenticandosi dell’essenza e del fine ultimo del dono della vita e della famiglia?
In conclusione, non sarà l’etichetta di una religione a salvarci, ma la nostra fede religiosa in Dio; non sarà un dialogo a salvarci, ma l’aver pregato, ognuno secondo il proprio rito, il Dio Misericordioso, magari insieme, persino in moschea, a Roma, senza fobie di incidenti diplomatici o di vanità mediatiche e, addirittura, anche nel nostro centro spirituale di Milano, il centro di un ordine contemplativo musulmano ecumenico, proprio come lei e san Francesco avete pregato alla Porziuncola di Assisi, nel tempio del ritiro interiore e del perdono universale costruito e custodito da pochi uomini e donne di nobiltà spirituale e umiltà. Ora come allora, c’è una nuova “regola” che attende un riconoscimento di una funzione di rinnovamento spirituale e riorientamento intellettuale che corrisponde alla sete di giustizia, pace e conoscenza con integrità, dialogo e servizio spirituale. Ma temo che non ci riconosceranno e diranno, come dicevano a san Francesco, santa Chiara e frate Elia: «Sono pochi folli di Dio, fra cui il figlio di un aristocratico, che credono nell’aldilà e recitano le lodi al Signore e vivono di carità». Eppure con questo stesso spirito abbiamo promosso con il Servizio internazionale per i rifugiati dei gesuiti una collaborazione concreta nella formazione inter-religiosa dei migranti, affinché sappiano insieme a noi non solo trovare una vita nuova e un nuovo mondo ma anche prepararsi al dialogo fraterno sull’altro mondo nel quale non sembra più credere nessuno! C’è bisogno urgente di santità nella verità, non crede?